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Cultura

"Nascosti davanti a tutti", a tu per tu con l’autore

Fabrizio Manzetti
Nascosti davanti a tutti
 
Ho conosciuto Fabrizio qualche anno fa, collaboravamo insieme in redazione. Poi per alcuni casi della vita non ci siamo incontrati se non di sfuggita. La stoffa del giornalista ce l’aveva ritagliata addosso, ma poi per i problemi che contraddistinguono la nostra professione, lo lasciai mentre si accingeva a svolgere tutt’altro mestiere. La sorpresa è stata riscoprirlo scrittore, pensando a Fabrizio mi viene da dire che puoi “fuggire da tutto ma non riuscirai mai a fuggire da te stesso”. Incuriosita dal suo romanzo d’esordio “Nascosti davanti a tutti”, gli ho fatto qualche domanda”.
 
 
 
“Nascosti davanti a tutti” è il tuo primo lavoro da scrittore, qual è l’iter umano e professionale che ti ha portato a scrivere un romanzo?
 
Devo dire che è venuto tutto piuttosto spontaneamente. Negli anni ho sempre scritto, da sempre mi appunto qualsiasi cosa possa colpire la mia attenzione. Sono una persona molto curiosa e credo che annotare le cose sia il mio modo per analizzarle, scomporle e tentare di darne un senso. Ne ho proprio bisogno, ecco. Ho un'agenda in cui scrivo e scrivevo conversazioni, incontri fortuiti, situazioni, tutto quello che a me interessa capire e che mi rendo conto la maggior parte delle volte passa inosservato. Ma non perché sia di poco conto, perché non è semplice decifrare la normalità e le sue conseguenze. Tutte le persone di cui parlo nei miei racconti, quindi, esistono. Mi preme ogni volta sottolinearlo. Laddove c'era un non detto, ho cercato di capirne il senso senza la presunzione di dare risposte. Mi interessava che i miei racconti costringessero a guardare quei luoghi dell’anima che, di norma, si tengono nascosti (davanti a tutti). Chi legge i miei racconti non avrà nessuna risposta, ma mi auguro tanto su cui riflettere. Per quanto riguarda il percorso professionale, invece, vengo da anni di scrittura giornalistica in cui col tempo mi ci rispecchiavo sempre meno, sentivo la costrizione delle battute, della deadline, degli spazi e a volte degli interessi imposti. Come dicevo prima ho sempre scritto - dai tempi del liceo - forse prima o poi troverò la mia forma definitiva.
 
Veniamo al romanzo, parli di vite ordinarie. Protagonisti del tuo libro potremmo essere tutti. Quando una vita merita di essere scritta?
 
Si, esatto. Sono racconti di vita quotidiana. Si parla di solitudini, matrimoni, adultèri, speranze frustrate, incontri fortuiti, cene fra coppie di amici, gentilezze inaspettate e tenerezze disperate. Di gente in difficoltà, paralizzata dall'inazione o inconsapevole di sé, anche quando le cose sembrano andare per il verso giusto. Di situazioni spesso in effetti davvero “minime”, salvo qualche eccezione, ad esempio l’incidente di una prostituta. La sfida che ho provato ad affrontare è trasmettere quella sensazione minacciosa, scomoda, estranea che spesso si avverte dietro il quotidiano. Tutto fila liscio e poi qualcosa si incrina. O magari non succede nulla. Solo cambia la luce in una stanza, o un sedile torna ad essere vuoto. L'ho detto prima, non ci sono risposte né certezze, i racconti hanno solo il compito di ricordarci una sensazione che dobbiamo aver già vissuto, o che vivremo. Per questo motivo è una vita ordinaria anche dura, fredda, elementare come una roccia - per questo devo ringraziare l'esperienza giornalistica che ha influenzato molto il mio modo di guardare e riportare. Credo che la quotidianità, intesa come insieme di quegli atti e situazioni che costituiscono la sostanza dominante della vita, merita di esser scritta quando mostra che tutto è in equilibrio precario, e che la sua fitta trama è sempre minacciata da più o meno piccole lacerazioni. La quotidianità è soltanto apparentemente una superficie liscia, in realtà è attraversata da insospettabili crepe. Io ho voluto raccontare la fragilità che ho riscontrato nelle situazioni che abbiamo tutti sotto gli occhi, i protagonisti siamo noi.
 
Questo romanzo è un punto di arrivo o di partenza?
 
Mi viene da dire ‘ai posteri l’ardua sentenza’. Sinceramente non saprei, ad oggi non ho nessun progetto ma ho talmente tante di quelle cose da dire che non escludo lavori futuri.
 
Giornalista e scrittore, qual è il tuo ruolo principale?
 
Forse più scrittore, ma non vorrei essere sacrilego! I veri scrittori sono Verga, Calvino, Carver, Foster Wallace.  A me piace scrivere ed è terapeutico per me, tutto qui. Il mondo del giornalismo non fa più per me, troppo frenetico e troppi vincoli.
 
Che consigli daresti a chi vuole pubblicare un libro?
 
Bella domanda… Direi di non smettere mai di scrivere, dalla lista della spesa, piccoli spunti giornalieri ai flussi di coscienza notturni. Di annotarsi tutto e, se i contenuti ci sono, prima o poi qualcosa di interessante verrà fuori e sarà pronto per un pubblico. Ma prima di tutto consiglierei di leggere, leggere e leggere. Solo leggendo vien voglia di scrivere.
 
 
Biografia
Fabrizio Manzetti è nato a Roma il 2 luglio del 1988. Laureato in Comunicazione, ha collaborato con diverse testate giornalistiche occupandosi di politica. Nel 2014 ha contribuito alla realizzazione del libro Culture digitali: giovani, letteratura e nuovi media (Universitalia). “Nascosti davanti a tutti” è il suo esordio letterario in lizza per il premio Augusta.
 
 
 Angela Francesca D'Atri