• Home
  • Fatti
  • Ambiente
  • Diritti
  • Cibo & Benessere
  • Cultura
  • Roma
  • Spettacolo
  • Viaggi
  • Torte & Salati
  • Poesia 2.0

Gio28032024

Ultimo aggiornamento03:24:57 PM

News:

Back Sei qui: Home Cultura Il trenino azzurro, un trenino felice

Cultura

Il trenino azzurro, un trenino felice

trenino appia

 “Lo vedi, ecco Marino, la sagra c’è dell’uva, funtane che danno vino, quant’abbondanza c’è. Appresso viè Genzano cor pittoresco Arbano: s’annamo a mette lì, Nannì, Nannì.” Sembra di sentirli i cori delle allegre famiglie romane, nelle domeniche di ieri, a bordo di quel tram bianco e azzurro che portava ai Castelli. Il “trenino azzurro”, così veniva chiamato, era un mezzo di locomozione elettrico su rotaie, munito di due carrozze (un esemplare è conservato ancora dall’Atac); all’interno i sedili erano in legno. Alcuni lo chiamavano amichevolmente Polifemo per via di quel grosso faro, come un grande occhio, usato per illuminare le strade buie fuori città. Percorreva l’Appia e la Tuscolana, per poi lasciare la città. Il capolinea era alla  stazione Termini. Il “tramvetto”, a ritmo lento e silenzioso, tagliava la campagna (oltre Cinecittà era tutto verde), passava tra le vigne, per poi giungere fischiettando (proprio come un treno) ai Castelli Romani (in un tempo di circa tre quarti d’ora). Il biglietto si comprava sul tram: non c’erano le macchinette per obliterare, ma se ne occupava il “fattorino”, una figura ormai in estinzione anche sui treni. Il prezzo del biglietto era frazionato, dipendeva dalla fermata in cui si saliva, nel dopoguerra costava circa 10 lire (gli stipendi medi erano circa 30.000 £). 

Che gioia era prendere il trenino la domenica. Pochi avevano la macchina e non c’era traffico sulle strade. La meta in genere erano le “fraschette”, le osterie tipiche dei Castelli. Il bello era che i romani si ritrovavano lì, amici e parenti, nel consueto appuntamento domenicale per bere insieme qualche bicchiere di vino genuino e mangiare un po’ di porchetta. A fine giornata, con il fiaschetto pieno, si riprendeva il trenino, sempre cantando (con il vino si cantava di più),  per tornare a Roma. 
Poi arrivarono gli anni sessanta, l’era del “gommato”. Il trenino azzurro finì in deposito e, i più moderni e veloci autobus (e anche più economici, visto che l’Italia era costretta a pagare l’energia elettrica alla Francia) ne presero il posto. Finiva così un’epoca. Si voltò pagina nella storia dei trasporti pubblici a Roma. Così come agli inizi del secolo, il tram trainato dai cavalli aveva dovuto cedere il passo al tram elettrico, ora il “tramvetto” doveva farsi da parte. Cominciavano gli anni dell’autobus  a benzina.
Angela Francesca D’Atri