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Fatti

Immigrazione: Marocco e Tunisia percorsi di regolarità in Italia

iprit marocco
Marocco e  Tunisia sono due Paesi “dirimpettai” dell’Italia, che continuano ad esercitare una notevole pressione migratoria verso il nostro Paese, come attestano i più recenti dati statistici del Ministero dell’Interno:
• Marocco: 525mila soggiornanti all’inizio del 2014 e 25mila nuovi permessi nel corso del 2013 (inclusi anche i minori iscritti sul documento di soggiorno dei genitori), mentre sono 343mila i titolari di permesso di soggiorno come lungo residenti; i visti per ricongiungimento familiare e per lavoro sono stati quasi 15mila, a fronte di 11mila visti per turismo (in prevalenza), affari e altri motivi meno ricorrenti;
• Tunisia: 122mila soggiornanti all’inizio del 2014 e 5.491 nuovi permessi; i visti per ricongiungimento famigliare e per lavoro subordinato sono stati circa 2mila, a fronte di 9mila visti per turismo (in prevalenza), affari e altri motivi meno ricorrenti.
Il progetto IPRIT (Immigrazione Percorsi di Regolarità in Italia), finanziato dal Ministero dell’Interno italiano e condotto dal Centro Studi e Ricerche Idos di Roma, ha avuto lo scopo di favorire il superamento dell’immigrazione irregolare dal Marocco e dalla Tunisia. A questo scopo è stata ritenuta fondamentale la conoscenza dei percorsi di ingresso e soggiorno regolare, pubblicando una guida bilingue sulla normativa che regola l’ingresso dall’estero nel nostro Paese. A questo supporto conoscitivo se ne è aggiunto un altro operativo, intervenendo in loco con il supporto di Anolf Maroc e Anolf Tunisia su gruppi selezionati di operatori pubblici e privati: a loro è stato assegnato il ruolo di diventare “moltiplicatori” dei percorsi della regolarità nel contesto di una strategia di disseminazione virale attraverso il supporto dei social media più diffusi.
Il positivo riscontro di questo intervento, peraltro concentrato in un ristretto lasso di tempo, ha rafforzato la convinzione che la realizzazione dei percorsi della regolarità diventa tanto più efficace, quanto più sono in grado di raggiungere le persone interessate o le strutture e gli enti “moltiplicatori”, per la possibilità che hanno di lavorare alla base. 
Le autorità nazionali, marocchine e tunisine, sono state quindi partecipi di questo sforzo attraverso una serie di incontri informali e l’accorta disponibilità della rete diplomatica-consolare presente in Italia. Dopo le sessioni formative, grazie al supporto operativo della Fondazione Mondo Digitale, i prodotti realizzati sono stati pubblicizzati attraverso i social media: le slide attraverso il sito web di condivisione; i videoclip animati attraverso un apposito canale di Youtube. Inoltre, tutti i prodotti realizzati sono stati raccolti in un apposito blog. Per la disseminazione tra i giovani marocchini e tunisini interessati a maggiori informazioni, è stato realizzato un gruppo sulla piattaforma di socializzazione www.facebook.com, che ha registrato un buon numero di visitatori.
Le succinte presentazioni della comunità marocchina e tunisina, nella loro evoluzione storica e nel loro insediamento attuale, mostrano la disponibilità di una base sulla quale è possibile costruire un futuro più promettente per l’Italia e i paesi di origine. 
 
 
 I marocchini in Italia
 
A partire dal secondo dopoguerra, il Marocco è uno dei grandi protagonisti delle intense migrazioni che hanno caratterizzato il bacino del Mediterraneo e, in quanto protettorato francese, la sua emigrazione ha avuto come sua meta preferenziale la Francia. L’Italia, invece, è cominciata a diventare un paese di destinazione dei migranti marocchini solo dopo l’adozione di politiche migratorie restrittive da parte degli Stati dell’Europa centro-settentrionale, a seguito della crisi petrolifera del 1973, rafforzando questo ruolo specialmente negli anni ’80 del secolo scorso.
I primi marocchini ad inserirsi in Italia sono stati braccianti agricoli e venditori ambulanti di tappeti e prodotti artigianali. Sono seguite diverse altre categorie di lavoratori non specializzati operanti in diversi settori (piccola industria, agricoltura, servizi di pulizia, distributori di benzina, commercio) insieme a lavoratori provenienti dalle città e, quindi, a più elevata scolarizzazione. Per lo più si è trattato di maschi soli, o perché ancora non sposati o perché le famiglie erano rimaste in patria. In seguito sono arrivati i familiari, ma anche studenti attratti dalle università italiane, essendo diventato sempre più difficile ottenere un apposito visto per gli altri Paesi europei. Le regioni meridionali hanno funzionato per lo più come area di primo approdo per il successivo trasferimento nel Settentrione, più promettente dal punto di vista occupazionale.
I marocchini, che fino agli inizi degli anni 2000 hanno rappresentato la prima collettività estera più numerosa in Italia, sono stati a lungo una sorta di stereotipo dell’immigrato nell’immaginario collettivo degli italiani, catalizzando su di sé i pregiudizi sugli immigrati tout court: una sorte che, in conseguenza del mutare dei flussi e dell’emergere di collettività più consistenti, è toccata poi agli albanesi e quindi ai romeni.
Gli anni 2000 hanno conosciuto, inoltre, il rafforzamento dei ricongiungimenti familiari, è aumentata notevolmente la presenza dei figli, sono stati più forti i legami con la società italiana, sorretti dalla prospettiva di inserimento stabile, sancita anche a livello normativo prima dalla cosiddetta “carta di soggiorno” (legge 40/1998) e poi dalla Direttiva europea sul permesso CE per lungosoggiornanti (n. 109 del 2003), entrata in vigore in Italia nel 2007.
 
Caratteristiche socio-demografiche
In Italia gli immigrati di cittadinanza marocchina titolari di un permesso di soggiorno sono, secondo gli archivi del Ministero dell’Interno revisionati dall’Istat, 524.775 al 31 dicembre 2013 (un numero pari al 13,5% di tutti i non comunitari presenti nel paese), di cui il 44,1% rappresentato da donne, una quota inferiore a quella che esse detengono in media tra tutti gli stranieri soggiornanti (49,2%). Nel quadro nazionale, i marocchini rappresentano così la collettività in assoluto più numerosa tra i non comunitari.
Inoltre particolarmente elevata risulta la percentuale dei minorenni: 30,3% (a fronte di una del 23,9% tra i soggiornanti non comunitari nel loro complesso). 
L’area di maggiore confluenza è decisamente il Nord, dove i marocchini si concentrano per quasi i 3 quarti (72,5%) e precisamente per il 41,4% nel Nord Ovest e per il 31,1% nel Nord Est; subito dopo si trova il Centro Italia, con una quota del 14,2%, cui seguono il Sud con il 9,7% e le Isole con il 3,6%.
La regione con più soggiornanti marocchini è la Lombardia con 126.706 presenze, pari a quasi un quarto (24,1%) del totale nazionale. Al secondo posto si colloca l’Emilia Romagna, dove soggiorna il 15,5% dei cittadini marocchini, cui seguono Piemonte (13,7%), Veneto (12,9%) e Toscana (6,2%).
Tra le province di maggiore insediamento, la prima è Torino (33.193 marocchini), seguita da Milano (32.530), Bergamo (24.605), Brescia (21.745), Modena (21.576) e Verona (18.404).
La ultraquarantennale storia migratoria dei marocchini in Italia si traduce anche in un elevato numero di titolari di permesso CE per lungo-soggiornanti (342.819), un titolo non soggetto a scadenza e che viene rilasciato dopo almeno 5 anni di permanenza regolare e continuativa nel paese. Questi titolari rappresentano il 60,4% dei marocchini, una quota di alcuni punti percentuali più alta della media relativa a tutti i soggiornati (56,3%). 
 
Inserimento lavorativo e aspetti economici
Secondo i dati della Rilevazione Campionaria sulle Forze Lavoro (RCFL) dell’Istat nel 2013 in Italia la popolazione di cittadinanza marocchina con più di 15 anni, e dunque in età da lavoro, ammonta a 333.022 persone. Di queste, quelle effettivamente occupate sono il 44,1% a fronte di una media del 55,9% tra tutti i non comunitari con più di 15 anni. Un altro 39,4% è composto da marocchini inattivi (ossia che non soltanto non hanno svolto nemmeno un’ora di lavoro nella settimana di riferimento dell’indagine, ma non hanno neanche cercato un lavoro nelle quattro settimane che precedono la settimana di riferimento, né sono disponibili a lavorare entro le due settimane successive).
Risulta piuttosto preoccupante il tasso di disoccupazione dei marocchini, che ha raggiunto il 27,2%, superando di quasi 10 punti il valore medio rilevato tra tutti i non comunitari (18,0%).
La partecipazione delle donne marocchine al mercato del lavoro italiano continua ad essere estremamente bassa se si pensa che la loro incidenza tra gli occupati è appena del 20,0%, quasi venti punti percentuali in meno del valore rilevato tra tutti gli occupati stranieri in Italia (41%). 
Tra i settori occupazionali, quello dei servizi impiega il 52% dei lavoratori marocchini, in particolare per via dell’inserimento nel commercio che da solo registra una quota del 18% (il doppio rispetto alla media degli stranieri: 9%). Il secondo settore è quello dell’industria, che assorbe il 43% degli occupati marocchini, ripartiti tra un 30% impiegato nell’industria in senso stretto e un 13% nelle costruzioni.
Merita di essere evidenziata anche la partecipazione al lavoro autonomo, che nel 2013 conta in Italia 61.177 imprese con titolare nato in Marocco, il 44,2% in più rispetto al 2007 e quasi esclusivamente di genere maschile (oltre il 90%). Un adulto marocchino ogni sei è pertanto dedito all’imprenditoria, a conferma dell’incredibile importanza assunta per questa collettività. Oltre il 70% si concentra nel settore del commercio, che invece sul totale degli immigrati incide per un terzo.  
La comunità marocchina in Italia è stata, fin dall’inizio, tra le grandi protagoniste nell’invio di rimesse. Le rimesse dei marocchini in Italia, rimaste al di sotto dei 20 milioni di euro negli anni ’90, hanno superato tale soglia nel 2000 e i 30 milioni l’anno successivo. Dal 2004, essendo state conteggiate anche le somme rimesse tramite i money transfer, il volume degli invii ha conosciuto un’impennata, superando i 300 milioni nel biennio 2007-2008 per poi scendere successivamente fino a raggiungere i 240 milioni e 941mila nel 2013. Molte somme, tuttavia, arrivano in Marocco attraverso canali personali e informali.
 
Le nuove generazioni e l’inserimento scolastico
Gli archivi del Ministero dell’Istruzione registrano, nell’anno scolastico 2013/2014, una presenza in Italia di 101.168 studenti di cittadinanza marocchina, pari al 12,6% di tutti gli studenti stranieri iscritti nelle scuole del paese.
In linea con quanto osservato per la popolazione marocchina soggiornante in Italia, anche gli studenti si concentrano, a livello territoriale, principalmente in Lombardia (25,6%), Emilia Romagna (16,3%), Piemonte (15,2%), Veneto (12,7%) e Toscana (6,3%).
La distribuzione per gradi scolastici registra i numeri più alti di alunni marocchini nella scuola primaria, che con 38.051 iscritti ne totalizza il 37,6%, cui seguono la scuola dell’infanzia (25.982, pari al 25,7%), la secondaria di I grado (20.502 e 20,3%) e la secondaria di II grado (16.633 e 16,4%). I marocchini si concentrano in misura proporzionalmente maggiore nella scuola dell’infanzia (che oltretutto non rientra nella scuola dell’obbligo) e in quella primaria, mentre più ridotte appaiono le quote nelle secondarie di II grado, probabilmente per via di un più precoce ingresso di questi giovani nel mercato del lavoro. 
Tra gli iscritti alle scuole superiori, inoltre, ben il 50,5% frequenta un istituto professionale (a fronte del 37,9% rilevato in media tra gli stranieri), il 35,4% un istituto tecnico (contro una media straniera del 38,5%), mentre è solo dell’12,8% la quota degli iscritti ai licei (20,4% nella media degli stranieri) e dell’1,3% quella relativa all’istruzione artistica (a fronte del 3,1%). 
 
Anno 2013 Marocco
Soggiornanti 524.775
Incidenza su totale 13,5%
Di cui donne 44,1%
Di cui minorenni 30,3%
Di cui lungosoggiornanti 60,4%
Forza lavoro 333.022
Di cui occupati 44,1%
Di cui inattivi 39,4%
Di cui disoccupati 27,2%
Imprese con titolare nato in M.61.177
Rimesse240,9 milioni €
Iscritti a scuola (a.s.2013/2014) 38.051
 
 
 I tunisini in Italia
 
L’inizio dell’immigrazione tunisina in Italia risale alla metà degli anni ‘60 del secolo scorso, quando a Mazara del Vallo iniziano ad arrivare i primi pescatori tunisini, richiamati dalla domanda di forza lavoro nella flotta peschereccia della città. Ma è soprattutto durante gli anni ‘70 e ‘80, grazie al passaparola, ai costi ridotti del viaggio, alla prossimità geografica e all’assenza di restrizioni all’ingresso, che la presenza comincia a diventare consistente. In questi anni, le politiche di chiusura all’immigrazione perseguite da alcuni Stati europei (quali Francia, Germania e Paesi Bassi), la crisi economica in Tunisia e l’espulsione di tunisini dalla Libia portano sempre più questi migranti a dirigersi verso l’Italia.
Nel 1990, anno del primo tentativo di regolamentazione organica degli ingressi di stranieri in Italia attraverso lo strumento del permesso di soggiorno (Legge Martelli), i tunisini regolarmente presenti in Italia risultano essere ormai una comunità importante. Per tutto il decennio, questa continuerà a crescere grazie soprattutto ai ricongiungimenti familiari, ai decreti flussi sugli ingressi per lavoro e alle regolarizzazioni.
Se manovali, braccianti e pescatori si sono concentrati per lo più nel Sud dell’Italia, in particolare nelle aree agricole e nell’ambito dell’industria della pesca in Sicilia, la forza lavoro più qualificata si è orientata verso le industrie del Centro-Nord, in alcuni casi proseguendo poi la propria esperienza migratoria verso altri paesi europei.
Il 2011 è stato l’anno della rivoluzione tunisina e delle cosiddette “Primavere arabe”. Nell’Europa mediterranea, le coste italiane sono state le prime ad essere investite dall’arrivo di migliaia di profughi (seppure in gran parte interessati a raggiungere la Francia e altri paesi europei): si è passati così dai 10.336 permessi per asilo e per motivi umanitari rilasciati nel 2010 ai 42.672 del 2011, dei quali ben il 27,5% (più di un quarto) rilasciati proprio a cittadini tunisini.
 
Caratteristiche socio-demografiche
In Italia gli immigrati di cittadinanza tunisina titolari di un permesso di soggiorno sono, secondo gli archivi del Ministero dell’Interno revisionati dall’Istat, 122.354 al 31 dicembre 2013, pari al 3,2% di tutti gli stranieri soggiornanti nel paese. Tra di essi le donne incidono per il 31,5%, una percentuale molto più bassa di quella che riguarda la totalità dei non comunitari in Italia (49,2%).
La collettività tunisina si caratterizza anche per una incidenza molto elevata di minorenni: il 30,4% dei tunisini non supera i 18 anni, mentre tra tutti gli immigrati questa quota è del 23,9%. 
L’area di maggiore concentrazione della collettività tunisina è il Nord Italia, che da solo raccoglie il 62,2% dell’intera presenza nazionale (32,7% nel Nord Est e 29,3% nel Nord Ovest); seguono il Centro Italia (18,0%) e le Isole e il Sud (rispettivamente con il 13,6% e il 6,2%).
La regione con il maggior numero di soggiornanti tunisini è l’Emilia Romagna con 27.997 presenze, pari ad oltre un quinto (22,9%) del totale nazionale. Al secondo posto si colloca la Lombardia (25.321 e 20,7%). È forte anche l’insediamento in Sicilia, terza regione di soggiorno per questi migranti con 15.985 presenze, pari al 13,1% del totale nazionale.
Tra le province di insediamento, la prima è quella di Modena (7.527 tunisini), seguita da Milano (6.260), Roma (5.684), Ragusa (5.367) e Parma (5.114).
La lunga storia migratoria dei tunisini in Italia si traduce anche nell’elevata quota di titolari di permesso CE di lungo soggiorno (83.705), pari al 68,4% di tutti i soggiornanti tunisini (una quota 10 punti percentuali più elevata rispetto alla media dei non comunitari, 56,3%).
 
Inserimento lavorativo e aspetti economici
Secondo la Rilevazione Campionaria sulle Forze Lavoro (RCFL) dell’Istat nel 2013 in Italia la popolazione di cittadinanza tunisina con più di 15 anni, e dunque in età da lavoro, ammonta a 72.071 persone. Di queste, quelle effettivamente occupate sono poco meno della metà, il 46,0% (a fronte di una media del 55,9% tra tutti i non comunitari), mentre è del 37,8% la quota relativa alle persone inattive, per non aver svolto un lavoro né averlo cercato.
Il tasso di disoccupazione dei tunisini, 25,9%, è cresciuto di 14 punti percentuali nel corso di un anno, ma si conferma più basso rispetto al valore medio rilevato tra tutti i non comunitari (18,0%).
La partecipazione delle donne al mercato del lavoro risulta, tra i tunisini, estremamente ridotta se si pensa che, a fronte di una loro già bassa incidenza tra i soggiornanti (pari, come detto, al 31,5%), quella che esse detengono tra gli occupati del loro paese scende all’11,9%.
Tra i settori, quello dell’industria assorbe quasi la metà degli occupati tunisini (49,3%, a fronte di una media tra i non comunitari del 32%), in prevalenza nelle costruzioni (26,8%). Seguono i servizi (complessivamente 31,4%) e il settore agricolo, con una quota del 19,3%, ben 15 punti percentuali in più rispetto ai non comunitari.
Per quanto riguarda l’imprenditorialità, le imprese individuali con titolare nato in Tunisia nel 2013 erano 12.976, il 24,5% in più rispetto al 2007. Le donne incidono per meno del 20%.
Tra le ricadute economiche positive delle migrazioni vi sono certamente le rimesse inviate periodicamente dai migranti all’estero ai parenti rimasti nel paese di origine. Dall’Italia, nel 2013, sono stati inviati in Tunisia, per il tramite del circuito delle banche e dei money transfer, 48 milioni e 842mila euro. 
La vicinanza geografica con la Tunisia facilita la frequenza dei ritorni e la possibilità di portare personalmente il denaro in occasione di questi viaggi.
 
Le nuove generazioni e l’inserimento scolastico
Gli archivi del Ministero dell’Istruzione registrano, nell’anno scolastico 2013/2014, una presenza in Italia di 18.363 scolari di cittadinanza tunisina.
Rispetto a quanto si rileva per la totalità degli alunni non italiani, quelli tunisini si concentrano in misura relativamente maggiore nei primi due gradi scolastici e meno nelle secondarie di secondo grado. È del 38,0% la quota degli iscritti nella scuola primaria e del 22,8% quella relativa alla scuola dell’infanzia, mentre il 21,8% frequenta le secondarie di I grado e il restante 17,4% le secondarie di II grado. 
Questa ripartizione sembra denotare una loro maggiore esposizione all’abbandono scolastico e al prematuro ingresso nel mercato del lavoro. A supportare quest’ultima ipotesi è il forte orientamento dei 3.193 studenti tunisini delle scuole superiori verso gli istituti professionali (che raccolgono ben il 42,9% di questi iscritti) e tecnici (37,3%), per una quota complessiva di studenti tunisini che hanno scelto questo indirizzo professionalizzante pari a ben l’80,2%. I licei, invece, ne raccolgono appena il 17,3% mentre è pari al 2,5% chi sceglie l’istruzione artistica.
 
Anno 2013 Tunisia
Soggiornanti 122.354
Incidenza su totale 3,2%
Di cui donne 31,5%
Di cui minorenni 30,4%
Di cui lungosoggiornanti 68,4%
Forza lavoro 72.071
Di cui occupati 46,0%
Di cui inattivi 37,8%
Di cui disoccupati 25,9%
Imprese con titolare nato in T.12.976
Rimesse 48,8  milioni €
Iscritti a scuola (a.s.2013/2014)18.363