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Ambiente

Conservazione degli uccelli in Italia, 300 popolazioni in esame

aquila del Bonelli
 
Il 25% delle specie nidificanti a più elevato rischio di estinzione.
 
Oltre un milione di coppie riproduttive, una distribuzione superiore ai 300.000 chilometri quadrati è stata osservata per molte specie di uccelli in Italia, come il merlo, la capinera, il fringuello e il cardellino, altre limitate a 2-15 coppie presenti su aree di 100-1000 chilometri quadrati, come la cicogna nera, la pittima reale; il 25% delle specie nidificanti rientra in una delle categorie a più elevato rischio di estinzione e sono 5 le specie risultate in maggiore pericolo: il gipeto, il capovaccaio, il grifone, l’aquila del Bonelli e la bigia padovana, ovvero tre avvoltoi, un’aquila e un piccolo passeriforme, tutte accomunate da un cattivo stato di conservazione, un basso numero di coppie (<100) e una limitata estensione della distribuzione geografica (< 20.000 chilometri quadrati). Le specie più vulnerabili si trovano principalmente in ambienti di prato-pascolo, nei seminitavi e nelle zone umide.
 
E’quanto emerge dal primo Rapporto Nazionale sullo stato di conservazione degli uccelli in Italia, pubblicato dall’ISPRA e disponibile online sul sito dell’Istituto (www.isprambiente.gov.it): il Rapporto, che nasce dalla collaborazione  tra Ministero dell’Ambiente, Regioni e Province autonome, ISPRA e Lega Italiana Protezione Uccelli, raccoglie le migliori informazioni disponibili dal 2008 al 2012 sulla demografia (dimensione, andamenti a breve e lungo termine) e sulla distribuzione geografica di 306 popolazioni di uccelli nidificanti o svernanti in Italia. 
 
Per ogni popolazione sono state messe in luce le principali minacce per la conservazione e le carenze conoscitive che dovranno essere colmate nei prossimi anni. Particolare attenzione è stata rivolta alla valutazione dell’importanza e del ruolo delle 610 Zone a Protezione Speciale della Rete Natura 2000 che sono risultate strategiche per la conservazione delle specie più vulnerabili: esse ospitano oltre il 50% della popolazione nazionale di almeno 54 delle 90 specie per le quali la Direttiva Uccelli prevede un regime speciale di protezione degli habitat. La maggior parte del territorio protetto si trova in ambiente mediterraneo (53%), seguito da quello alpino (33%) e continentale (14%). La quota di territorio protetto è relativamente uniforme nelle diverse regioni italiane e rappresenta in media il 16% della superficie totale.
 
Gli uccelli rappresentano un importante indicatore delle condizioni ambientali e la scomparsa a livello locale di molte specie riflette l’aggravarsi delle condizioni ambientali, evidente - in particolare - negli ecosistemi agricoli e nelle zone umide, dove la pressione dell’attività antropica è più forte. La perdita di biodiversità è così evidente da essere percepita anche dai non addetti ai lavori, che si accorgono della rarefazione di specie un tempo comuni, associate agli abitati umani e alle campagne, quali la rondine e la passera d’Italia, saldamente presenti nella nostra cultura e nell’immaginario collettivo. La popolazione di passera d’Italia, ad esempio, è diminuita di oltre il 30% negli 20 anni, divenendo in alcune aree estremamente rara e abbandonando diversi centri abitati. Come per molte altre specie, la causa principale di questa diminuzione è imputabile alla perdita di risorse alimentari durante la riproduzione, in particolare insetti. 
 
Ci sono comunque anche molte specie che hanno migliorato il loro stato di conservazione. Nel complesso, il numero di popolazioni in incremento nell’ultimo decennio (37) è simile al numero di quelle in decremento (41). Sul lungo periodo invece il rapporto si inverte, 37 in aumento, 32 in decremento. 
 
Troppo alto il numero di specie per le quali non sono disponibili informazioni sul trend: 33% sul breve periodo e 21% sul lungo. Se ci si limita ad osservare le specie per le quali sono disponibili informazioni sia sulla dimensione di popolazione sia sul trend, la percentuale di specie senza informazioni sale al 60% per entrambi i termini temporali. Emerge chiaramente la necessità di investire maggiori risorse ed energie per colmare il grave vuoto di conoscenze.
 
Le minacce alla conservazione segnalate più di frequente sono risultate le modificazioni dei sistemi naturali (abbandono dei pascoli e delle colture tradizionali), le pratiche agricole (biocidi e fertilizzanti) e l’uso di risorse biologiche (caccia e pesca). Importanti anche le pressioni e le minacce al di fuori del territorio europeo che si ripercuotono sulle popolazioni migratici.